La città dell'orca - Sam J. Miller


Amo la fantascienza perché ha uno sguardo più lungo sulla realtà. Alcuni dicono che è profetica, a me pare piuttosto che sappia compiere un audace salto in avanti, guardando con lucidità - con cruda lucidità - alle conseguenze possibili del presente. “La città dell’orca” è una straordinaria proiezione di ciò che l’avidità sta facendo alle città, alle grandi metropoli mondiali: aumenta il divario tra ricchi e poveri, e una certa “gentrificazione” livella la multiculturalità e la dimensione storica dei quartieri, porta alle stelle gli affitti e svuota i centri storici della propria cittadinanza, strappandone via l’anima. 
E allora qui abbiamo Qaanaaq, una città-metropoli tentacolare, che galleggia nelle acque dell’estremo nord dopo che l’innalzamento degli oceani ha ridotto in modo esponenziale le porzioni di terra abitabili. E’ una città governata dalle AI, da sofisticati software che dovrebbero azzerare i meccanismi di potere, risolvere la fallibilità delle decisioni umane. Eppure, eppure anche a Qaanaaq c’è una profonda ingiustizia sociale, c’è una casta di “azionisti” che possiede tanti immobili (“il miglior racket della storia dell’uomo”) e una massa informe di poveri, di emarginati, di richiedenti asilo che dorme nei container, in pollai umani. E poi c’è una misteriosa malattia che sta dilagando, il frantumo, che connette fra loro tutti i ricordi dei malati, in un magma impossibile da sopportare, e che porta alla follia. Nel bel mezzo di questo scenario, nel porto arriva Masaaraq, una donna a cavallo di un’orca. Sta cercando qualcuno e fa tremare la città, perché è l’ultima di una specie quasi mitica, frutto di un esperimento biotecnologico. Cosa vuole Masaaraq? Forse vendicarsi, forse ritrovare la propria famiglia. O forse, dimostrare che “c’è una linea sottile tra un buon affare e un crimine di guerra”. 

Perché leggerlo: per godere di un thriller d’alto livello, che è stato finalista ai Premi Nebula e Locus; per chiedersi come saranno tra cent’anni New York, Milano o Parigi; per avere una mappa dell’oggi, con gli occhi fissi sul futuro.

(B.Ve.)

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