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Visualizzazione dei post da luglio, 2019
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Il re giallo – Robert W. Chambers Ho recuperato questo classico del gotico, dopo essere stata una lettrice adolescente di Poe, Lovecraft, Stoker e compagnia bella, perché non sapevo fino a che punto la letteratura (e il cinema, non ultimo True Detective) dovesse a Chambers. Questa serie di racconti fa riferimento, senza mai dipanarne completamente i contorni, a un’opera maledetta - Il re giallo, appunto – che fa impazzire chi la legge. Ai confini tra follia e paranormale, tra sogno e realtà, la prima parte del libro semina alcune tracce del mito: l’ineffabile Carcosa, con le sue due lune, l’inquietante lago di Hali dalle acque immobili, e il Re Giallo che divora le anime, con il suo mantello stracciato e il suo marchio, da cui non c’è via di fuga possibile. Storie vecchie di oltre un secolo che ancora spandono la loro potenza, anche pittorica: non a caso, Robert W. Chambers si formò a Parigi come pittore in pieno periodo impressionista, e in patria fu rinomato illustratore,
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Il sognatore/La musa degli incubi – Laini Taylor Abbandonate tutte le droghe che conoscete e provate Laini Taylor. Certo, devono piacervi i libri SFF (science fiction & fantasy), ma nel mare magnum rappresentato oggi dal settore - che sembra aver trovato nel target young adult un interlocutore privilegiato, anche sul fronte delle vendite – questa autrice spicca per un’assoluta originalità linguistica e per una fantasia straripante, capace di spiazzare. Ed è così, spiazzante, la scena che apre la saga de  Il sognatore : una ragazza cade dal cielo, e muore infilzata nella guglia di un cancello, inarcata, terribilmente aggraziata, i lunghi capelli che grondano boccioli rossi. L’orrore di chi assiste alla sua morte non è legato alla pena per una giovane vita perduta, ma al fatto che la ragazza sia di una razza nemica, temuta, che si credeva sconfitta. La sua pelle è “blu opalescente, blu come i fiordalisi o le ali di una libellula”. Come in tutti i romanzi d’avventur
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Abbiamo sempre vissuto nel castello – Shirley Jackson “A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce” è la celebre dedica che Stephen King fece sul suo romanzo  L’incendiaria . E in qualche modo è chiaro il motivo per cui il Re si è inchinato: Shirley Jackson ti porta dove vuole: con la sua vocina sottile, quasi spensierata, la segui e ti ritrovi non in una cantina buia (troppo facile!) ma in un salotto perbene, stai prendendo un tè e la conversazione ha preso una piega inquietante, un battito di ciglia, un sospiro, e il sogno è virato all’incubo. Non sai più se i suoi personaggi appartengono al mondo dei vivi o dei morti. In questo romanzo del 1962 che non sente minimamente il peso degli anni c’è un distillato di echi: la voce narrante, quella di Mary Katherine Blackwood, è come una ripresa in soggettiva. Ti permette di vedere il mondo come lo vede lei, una lente deformata – anche cognitivamente: e in questo un po’ evoca  L’urlo e il Furore di Faulkn