Il sognatore/La musa degli incubi – Laini Taylor

Abbandonate tutte le droghe che conoscete e provate Laini Taylor. Certo, devono piacervi i libri SFF (science fiction & fantasy), ma nel mare magnum rappresentato oggi dal settore - che sembra aver trovato nel target young adult un interlocutore privilegiato, anche sul fronte delle vendite – questa autrice spicca per un’assoluta originalità linguistica e per una fantasia straripante, capace di spiazzare.

Ed è così, spiazzante, la scena che apre la saga de Il sognatore: una ragazza cade dal cielo, e muore infilzata nella guglia di un cancello, inarcata, terribilmente aggraziata, i lunghi capelli che grondano boccioli rossi. L’orrore di chi assiste alla sua morte non è legato alla pena per una giovane vita perduta, ma al fatto che la ragazza sia di una razza nemica, temuta, che si credeva sconfitta. La sua pelle è “blu opalescente, blu come i fiordalisi o le ali di una libellula”.

Come in tutti i romanzi d’avventura e fantastici, c’è ovviamente un eroe. Lazlo, orfano, cresciuto in un convento, bibliotecario. Sull’amore per i libri del suo personaggio, Laini Taylor scrive pagine splendide, evidentemente autobiografiche ma anche universali (in fondo, appena dietro l’angolo della nostra coscienza resta scolpita l’estasi di maestro Guglielmo nel Nome della Rosa!). 
E poi, ecco l’antagonista: Nero, l’alchimista, personaggio divorato dall’ambizione, che pare essere senza possibile assoluzione. Ancora, un esercito di guerrieri invincibili che cavalcano creature fantastiche, e una città perduta ai confini del mondo. Le tessere ci sono tutte - in fondo da Tolkien in poi le conosciamo bene - ma il disegno complessivo sembra un brillante, impalpabile, sontuoso tessuto ricamato, sempre coerente, aperto a un’enormità di orizzonti possibili. E’ sicuramente una delle più belle storie fantasy/fantascientifiche degli ultimi anni, a cui si può perdonare, in particolare nel secondo e conclusivo volume, anche qualche “scivolata” nei palpiti adolescenziali, che omaggia un target che ha bisogno di rispecchiamento. In realtà, grazie alla costruzione dei personaggi e alla loro evoluzione psicologica all’interno della storia (in cui i “cattivi” e i “buoni” suono separati da complesse gradazioni di grigio), questa dilogia è davvero su un eccellente livello narrativo e riserva parecchie sorprese.

Perché leggerlo: A volte c’è bisogno di entrare in una foresta lussureggiante, proprio a fianco della tangenziale della realtà. C’è bisogno di ritrovare le atmosfere amate nelle letture d’infanzia, c’è bisogno di romanzo cavalleresco, di un’epica interstellare. C’è bisogno di chiudere un libro e continuare a pensarci. C’è bisogno di provare quella dolce e straziante sensazione di perdita quando, sempre troppo presto, la storia è arrivata all’ultima pagina.

(B.Ve.)

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