Il detective selvaggio - Jonathan Lethem


Questa è la storia di una donna che si mette alla ricerca di un’amica scomparsa e, durante la ricerca, trova se stessa. 
O forse trova una versione completamente diversa di se stessa, come la costa Ovest è una versione completamente diversa degli Stati Uniti. O come, stringendo ulteriormente l’inquadratura, Upland è una delle possibili versioni di Los Angeles, una retrovia già affacciata sul deserto del Mojave, a cavallo tra la civiltà e l’istinto di sopravvivenza. Ora, immaginate una newyorkese nevrotica, politicamente schierata e irrimediabilmente choccata dall’elezione di Trump (la Bestia-Eletta), improvvisamente catapultata nel lato più duro, scarno e selvaggio dell’Inland Empire: “Il blu del cielo mi stava uccidendo. Quello e il modo in cui, dall’altra parte della strada, senza il minimo buongusto o senso della proporzione, le vette innevate erano impegnate in un’intricata discussione con il piatto blu galattico. Se fissavo i punti in cui il blu incontrava il bianco, andavo fuori di testa”. 
C’è un crash culturale, in questo libro, che sorprende e diverte infinitamente: siamo nella testa della protagonista, condividiamo (con il gusto degli antropologi) il suo disorientamento, la sua paura di perdersi, e ascoltiamo il suo grondante, ironico io interiore. La spedizione la porta a incontrare Heist, il Detective Selvaggio, e a dirigersi dritta dritta nel cuore di una vicenda tra bande di ex hippie e di biker nell’assoluto nulla del Mojave.
(B.Ve.)

Perché leggerlo: Per piegare la cartina, avvicinare Los Angeles e New York e intravedere il carattere di queste due città. Per scoprire che esistono molte versioni di noi stessi. Per lasciarsi sovrastare dagli orizzonti impossibili del deserto, accolti da tribù di uomini e donne che vivono da veri outsider.

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